EZRA POUND UNIVERSITY

"Se un uomo non è disposto a perdere la sua vita per una idea, o vale poco l'idea o vale poco l'uomo"

giovedì 24 marzo 2016

LA RIVOLUZIONE EZRA POUND di Antonio Pantano (2003)

LA RIVOLUZIONE EZRA POUND di Antonio Pantano
Il mercato
Come mai il XX secolo vide nascita e convergenza di avanguardie rivoluzionarie nella creazione, in cultura come in politica. Coincidenze storiche non casuali, certamente non determinate dalla evoluzione tecnica. All’alba del secolo Ezra Pound scelse il “mestiere” di poeta, cui impose metodo e disciplina coordinati dalla consuetudine di spirito e di orecchio nella familiarità delle tecniche anche antiche. Strumento ottimamente usato, facilitato dalla frequentazione, apparentemente casuale, del giacimento di studi sinologici di Ernest Fenollosa. La straordinaria disinvoltura nell’uso della costruzione e del ritmo poetico non aiutarono Pound a conquistare i travet delle università, i mestieranti delle accademie, i “mancati creatori” costituenti i plotoni pettegoli della critica: folgorati comunque, furono tutti sopraffatti dalla più banale invidia per la naturalezza poundiana nel catturare suoni antichi e ritmi impossibili, trasformati in nuovissimi ritmi e suoni impossibili. 

Il “bel verso” fulminato da Pound con voluta incostanza creò delusione negli addetti ai lavori, i quali sentenziarono ferocemente che esso era stato trascurato per cervellotici propositi, tacciata da “idiozie”. In tal modo il lettore, dilettante o curioso, preparato o casuale, fu artatamente allontanato dal “Miglior Fabbro” malgrado a Pound fossero riconoscenti, per magistrale superiore capacità, gli altri più validi creatori contemporanei. Non solo, ma americano in Europa, e, quindi, condizionato dalla superficialità scolastica della terra d’origine soprattutto per l’educazione umanistica, non fu tollerato da altri critici, vestali della storia filologica, che stroncarono aprioristicamente i non comuni studi comparativi, condotti in una autonoma ricerca, sulle radici della poetica italica, cioè su Guido Cavalcanti e Dante Alighieri. L’intolleranza preconcetta superò ogni limite con l’addebito a Pound di aver poi infarcito la maggiore creazione poetica “in progress”, i Cantos, di innesti di citazioni, di riferimenti allusivi storici ed inspiegabilmente minori o banali, legati a dettagli d’ordine extrapoetico vertenti sul denaro, l’economia e argomenti analoghi. Il resto, il costante dilagare nel campo dei principi fondamentali dell’esistenza umana, sulla morale, il costume, i rapporti civili, l’etica, fu preso come fattore monomaniacale, indicato sterile ed inutile. Per altro, in questa azione repressiva, vi fu chi riconobbe la “pericolosità” del pensiero poundiano, ammantato di demagogia, ancorato sul non fondamentale rapporto con l’individuo, il quale, alla fine delle considerazioni, è frammento episodico della storia, essendo questa prodotto casuale corale di azioni dialettiche, se mai coordinate in una “linea generale” utile e necessaria a chi quella definisce. I travet del “bel verso”, i pescatori eunuchi di seppioline sentimentali, complessati da carenze affettive ed intellettive analizzate dal dottor Freud, ebbero certamente paura del costrutto poundiano, fondato su un nuovo modo di proposta delle idee e del pensiero: la non classificabilità in categorie prestabilite, la non omologazione (pessimo termine di ordine geometrico) alle coloniali truppe delle fazioni di parte (politica o religiosa – nel XX secolo il problema fu posto solo sul piano delle fazioni), ma, soprattutto, la fondamentale preoccupazione di andare a contestare ordini secolari instaurati, consuetudini accettate e incancrenite, nel vano tentativo di dare peso e rilievo all’Uomo. Si immagini, poi, cosa dire al cospetto del temerario atto di imitare suono, metrica, voce e spirito del divino Dante per dar spazio e parola, nel XX secolo del Futurismo, a Marinetti dall’Oltretomba, nella stesura di getto di “Presenza”, il 72° dei Cantos, creato in italica lingua, ove Effe Ti squarcia il tempo e la storia con:
“PRESENTE” E,dopo quel grido forte, mesto aggiunse: “In molto seguii vuota vanitade, Spettacolo amai più che saggezza Né conobbi i savi antichi e mai non lessi Parola di Confucio né di Mencio Io cantai la guerra, tu hai voluta pace, Orbi ambidue! all’interno io mancai, tu all’odierno.”

E poco oltre, nell’incontro evanescente con Manlio Torquato Dazzi, citando l’amato Marinetti, ebbe a cristallizzarne il sintetico significato con:
“Sovra-voler produce sovra-effetto”
Il pretesto dell’ostracismo, mantenuto per decenni dalla creazione, ed uno dalla morte di Pound, fu l’attribuzione di faziosità a questa come alla successiva cantica poundiana “Cavalcanti – Corrispondenza Repubblicana”, indicata come 73° dei Cantos, steso di getto a causa della distruzione bellica, per mano delle forze armate alleate, concittadine del Poeta, del Tempio Malatestiano di Rimini, e per cantare il sacrificio di una ragazza di Romagna “stuprata / Po’ prima “ dagli stessi alleati, che questi condusse in zona minata, immolandosi con loro. Per l’irriverenza poundiana d’aver cantato episodi non graditi a chi la guerra vinse, vi fu anche chi ardì mettere in dubbio la veridicità dell’episodio (registrato sulla stampa del tempo – mentre di Romolo e Remo o dello stesso Cristo sono scarse le registrazioni scritte coeve), alimentando lo zelo in servilismo dei critici di mestiere, e, per ciò, di “ prezzo”. In sostanza, una attività “di mercato” sostenuta per oltre mezzo secolo tesa a screditare e sminuire l’opera, e l’esistenza, di Pound, posta in essere da chi, trattandone “in esclusiva” per la limitatezza del campo speculativo e per le pressioni d’ordine fazioso, sull’opera del Poeta campò allegramente traendone lucro e piccoloborghesi soddisfazioni di carriera. Ciò con corollario di editori di “buona volontà” che fortuna e carriera hanno imbastito solo sulla pubblicazione di opere poundiane, forse lucrando poco in moneta, ma certamente molto in prestigio.

E i contenuti? I contenuti, cioè ciò che Pound, usando la personale innovazione creativa, pose a base dell’intera opera, furono posti in ombra, non solo perché inintellegibili dal criticume rituale, ma, soprattutto, perché inaccettabili non per propria convinzione, ma per dettato “di fede”, e quindi apodittico, “delli superiori” che i massimi sistemi di governo impongono e controllano. Ma l’opera di Ezra Pound è, senza ombra di dubbio, realmente rivoluzionaria, non tanto per la “forma”, quanto per il messaggio razionale scaturito dalla mente del Poeta.
La rivoluzione
Chi, avventurandosi nella lettura dei testi disponibili, desiderasse avere idee chiare sugli accadimenti in generale, e dei nostri tempi in particolare, ha indubbie difficoltà nel discernere strade da percorrere per tentare di godere di barlumi che conducano alla verità. In campo teologico, per millenni, almeno nel mondo europeo, ha avuto il dettato biblico come unica fonte di attendibile riferimento, anche se grossolanamente infarcita di approssimazioni, anche se storicamente affastellata su dati inesatti, anche se visibilmente insostenibile al confronto di accadimenti storici recenti e, per ciò, verificabili. Summa di prescrizioni dall’intendimento morale, fu comunque perno di credo religioso e di dominazione politica, avendo ad essa ancorato, nei secoli, la maggior parte del potere esecutivo e legislativo operante. L’Uomo fu sottomesso al potere, legittimato dal riferimento biblico, nel mondo europeo ed occidentale, e per il potere esso fu strumento incluso nella “ragion di stato” ad ogni costo, con la conseguenza logica che chi lo stato rappresentava (o di esso si arrogava la rappresentazione) e chi questi serviva esercitava nei confronti del resto del consorzio umano qualsiasi autorità. Il distacco dei coloni stabilitisi sul continente americano dalle terre d’origine, e dal potere che da queste proveniva, fu atto sentito da ogni individuo anelante alla libertà, e fatto storico analizzato profondamente dal giovane Ezra Pound. 

Nel contempo, però, per le frequentazioni letterarie e poetiche, per le indagini appassionate nei documenti e nei dettagli della storia europea in particolare ed universale, le comparazione condussero Pound a non sentir doverosa, e perciò imposta, la condizione umana, ma possibile di altre prospettive che avessero collocato l’individuo non a cardine di una condanna ma di una posizione privilegiata e libera. La storia non fu considerata da Pound riferimento inappellabile, ma condensato degli accadimenti riguardanti la passata fase temporale suscettibile di soggettive descrizioni, dacché le registrazioni essa riguardanti erano, nel tempo, effettuata da amanuensi non sempre sinceri, da storici sovente condizionati da pregiudizi. In “Guide to Kulchur” (si tenga presente il termine “Kulchur” invenzione poundiana alla pari di infinite altre, ma efficace sintesi di ironia lessicale) Pound non tralascia di puntualizzare un criterio fondamentale in proposito. E la prima espressione del capitolo “Malattie”, posto quasi a compendio dell’opera, è: Falsificazione della storia. Con l’immediata conseguenza della Falsificazione delle notizie che diviene laconico secondo paragrafo del capitolo, non necessitante di spiegazioni. Ne scaturisce l’imperativo poundiano di avversare aprioristicamente le “vulgata” perché certamente macchiate da falsità interessate. La terza proposizione dello stesso capitolo è assai più articolata, ma di sorprendente sintesi espressiva: “IMBECILLITA’ del sistema di tassazione: per il costo dell’esazione; per le ovvie possibilità di ingiusto accertamento; per la possibilità di frode nelle restituzioni; considerando il suo incitamento a delinquere; per il fatto di far diventare delittuose attività che di per sé sono assolutamente innocenti; per le ostruzioni che produce alla circolazione di merci e denaro”.

Prescindere da ciò che, non solo nei Cantos, ma nella gigantesca pubblicistica, Pound ha spiegato e sostenuto sul piano del vivere quotidiano, cioè dell’economia, significa non solo rendere a Pound un torto, ma far professione di disonesta e di circoscritta
capacità intellettiva. Il punto focale della speculazione poundiana è il rapporto tra gli individui, condizionato essenzialmente dagli artifizi ingannevoli che il rapporto economico può comportare. Ma se sul piano individuale lo scambio al mercato quotidiano tra il produttore di una merce e l’aspirante acquirente della stessa è condizionato da fattori contingenti, comunque circoscritti al momento limitato, sul piano generale l’inganno sostenuto dalla prepotenza del potere (qualunque potere, anche quello religioso) è inumano, perciò inaccettabile. Pound – ma con Pound chiunque abbia rispetto e considerazione per il proprio prossimo – non può accettare la sovranità imposta cosi come non può tollerare ciò che la sovranità dell’individuo condiziona. Ed il denaro, con le implicazioni collaterali mai conosciute dalle grandi masse umane, è altro perno della schiavitù reale, soprattutto nel tempo moderno, imposta all’umanità da scaltri prevaricatori assetati di avidità, di prepotenza, di intolleranza, di nessun amore per i governati. Cosi come inaccettabile deve essere la rassegnazione umana al cospetto del potere, della prepotenza. 
Qui, in questi termini, è la vera rivoluzione di Ezra Pound. Si ha poco da dire, o da attribuire a potenti delle religioni intenzioni caritatevoli o di denunzia di malessere e dei disagi delle moltitudini: è nei fatti storici, è nella posizione reale e concreta che questi assumono verso chi – in maggior stato dominante – detiene i cordoni della borsa e condiziona l’umanità con carestie o sradicamenti di massa, che si vede la genuinità d’animo dei potenti. E se estemporaneamente si ode parlare di annullamento del debito contratto internazionalmente da popoli deboli ed eternamente poveri, si ha il dovere di diffidare di chi sostiene palliativo momentaneo, mentre tralascia il doloroso atteggiamento di aiutare nel concreto, sul loro territorio, con provvidenze senza costo ed interessi, mediante applicazione per gestori onesti e disinteressati, non solo a riprendere quota, ma a proseguire nel vivere in assoluta indipendenza dal debito verso terzi estranei. Il debito, poi, ha natura universale radicata sul concetto biblico della remissione periodica, giubilare, comunque parziale e condizionata. L’equivoco è nel “prestare” e non nel “dare”. E sul prestito verte il millenario equivoco che aggioga individui e popoli a scaltri mercanti che assoggettano il proprio prossimo, a partire dai propri fratelli, all’insegna di “tu presterai a molte genti, e tu non prenderai nulla in prestito; e signoreggerai sopra grandi nazioni, ed esse non signoreggeranno sopra te” (Deuteronomio, 15,6). Spirale usuraia, balzata evidente a Pound dall’esame della fondazione della Banca d’Inghilterra (1696), cui nemmeno le considerazioni scientifiche di Carlo Marx era approdata. Il non-pensatore e non-filosofo Ezra Pound intrise ogni sua pagina, delle tante composizioni, del fondamento basato sulla prevaricazione monetaria ed economica concretata dalla casta dei gestori del denaro. 

Gli incontri incidentali di Pound con gli accadimenti coevi, nel tormentato tempo vissuto, vertente anche sul non trascurabile episodio della seconda guerra mondiale, potrebbero apparire dettagli di conforto alle tesi poundiane . Ma, se intendiamo ridere sui clamorosi abbagli dei roditori d’università e dei frammassoni della critica letteraria e non, possiamo soffermarci sull’apertura del Canto 41°: “Ma qvesto,” disse il Duce, “è divertente” / afferrando il punto prima degli esteti; “. Pagine sprecate per sostenere, con estrema leggerezza, che la superficialità di Mussolini (tesi preconcetta) avrebbe gratificato l’ottenimento di un volume sui Cantos nell’udienza a Palazzo Chigi il 30 gennaio 1933, mentre sarebbe bastato andare a consultare i volutamente negletti scritti "economici” (frammistione di estrema e raffinata poesia con temi di concretezza morale ed economica) per apprendere che il poeta Pound aveva indicato al potente del momento il singolare criterio di “non far pagare le tasse ai cittadini” solo onerando l’emissione e circolazione monetaria – concessa dagli stati a banchieri privati in funzione di tesoreria – dell’esatto prelievo preteso dai cittadini stessi. Una funzione sociale che a chi ha solo consuetudini di carriera accademica, e nessuna sensibilità umana per il proprio prossimo, è inimmaginabile. Domenico Pellegrini Giampietro è altro esempio – dei pochi che posso citare per
esigenze di spazio – sfuggito “agli esteti” o (ne sono profondamente convinto) taciuto per accodarsi alla “falsificazione della storia”. 
Le doviziose e pasticciate indagini storiche del dopoguerra, generalmente redatte “ad usum delphini” per servile ossequio al padrone/vincitore del conflitto, hanno taciuto l’attività del Ministro delle Finanze della Repubblica Sociale Italiana (che i servili somari hanno indicato “di Salò” ignorando che a Salò erano solo alcuni uffici periferici e non fondamentali del governo di quello Stato) incentrata sia sulla custodia e protezione della riserva urea italiana, ceduta dal sovrano fuggiasco e dal suo governo nell’agosto 1943 al Reich germanico, sia sul bilancio dello Stato per l’anno 1944, chiuso in attivo malgrado l’erogazione di 10 miliardi di lire mensili alle forze armate germaniche, per il loro apporto bellico, in rispetto di un compromesso del 3 agosto 1943 sottoscritto da Badoglio per 5 miliardi mensili da corrispondere alla Wermacht a sostegno delle attività di poche divisioni militari operanti sul suolo italiano, in qualità di alleate. I 120 miliardi di lire (superiori quattro volte gli introiti fiscali tributari) necessari furono reperiti mediante l’obbligatorio conferimento di denaro liquido accumulato dal tesoriere/banca d’Italia (che lo “riteneva in proprio” come ancor oggi avviene per la repubblica attuale) e devoluto al pubblico erario. 
Nel contempo, il formale e farsesco Regno del Sud, esautorato in ogni ruolo da governatori militari Alleati che esercitavano ogni sorta di potere, anche quello di condizionare esistenza e parola ai formali membri del governo (cooptato tra pochissimi autoinvestiti), svuotava le casse delle banche locali, e stampava in oceaniche quantità incontrollate le tristemente famose AM-Lire, creando volutamente inflattivo che ebbe a scemare solo con l’assoggettamento dei territori del Nord, governati per venti mesi dalla RSI con oculatezza e rigore onesto, trasparente, amministrativo: piattaforma di ripresa del dopo guerra dell’intiero nuovo stato, di fatto protettorato dei vincitori per molto tempo a venire. Ebbene, come non assurgere al ruolo dei Cantos Domenico Pellegrini Giampietro (che negli anni ’50 e ’60 fu nell’ospitale Brasile autore del successo economico di quel vasto Paese)?
E come non considerare i punti 3° e 15° della Carta Costitutiva della Repubblica Sociale Italiana (i famosi “18 punti di Verona”) che contemplano rispettivamente l’obbligo di rendiconto della pubblica amministrazione verso ogni cittadino e il diritto alla proprietà della casa (e non il diritto della proprietà), fondamenti che la “più illuminata e democratica” costituzione della repubblica italiana non contempla, omettendo anche di indicare il termine della sovranità monetaria? Di tutto ciò Ezra Pound – degno di manicomio criminale per decisione incidentale e non definita della giustizia democratica statunitense – ne fece tesoro. Non episodicamente, non casualmente. L’opera poundiana, infatti è caratterizzata costantemente dal filo conduttore che pone l’Uomo al centro del doveroso interesse e riguardo dei governanti, al centro delle considerazioni speculative del Poeta, il quale, influenzato dalla approfondita conoscenza della dottrina di governo del Maestro Kung/Confucio, certamente sorpreso di quanto in Italia - non solo sul piano delle idee e programmatico – si concretò redimendo la terra, bonificando e riforestando il territorio, esaltando la cura spirituale e materiale dei cittadini tutti (dagli asili nido dell’opera nazionale maternità ed infanzia, alla scolarità obbligatoria, alla previdenza sociale reale – scardinata nel 1961 con la vanificazione delle riserve immobiliari a garanzia pensionistica – a molto altro), fondando città e province anche in lontane e inospitali terre, ebbe a considerare il rinnovamento italiano sintomo del proprio ideale morale sociale. Idee fondamentali, non da poco, non inseguenti vani impulsi di riforme, ma anelanti a quella rivoluzione umana dello spirito che, da millenni, si attende, vanificata dalla ingordigia e avidità di chi l’esistenza altrui avvelena ed imprigiona soprattutto con assoggettamenti non formali dovuti alla prevaricazione del denaro. Che, nella sua materialità, rappresenta un atto di intolleranza ed odio per gli altri. Contrario all’AMOR reiterato e cantato dal più sensibile Poeta che l’umanità abbia mai generato.

(pubblicato su LETTERATURA TRADIZIONE, anno VI n°23, 2002/2003, Pesaro)