EZRA POUND UNIVERSITY

"Se un uomo non è disposto a perdere la sua vita per una idea, o vale poco l'idea o vale poco l'uomo"

lunedì 9 novembre 2015

Uno stato d’animo genuino scaturito da un giovane del popolo

Uno stato d’animo genuino scaturito da un giovane del popolo
Da trent’anni possiedo un volume di poesie pubblicato da Rebellato editore e stampato a Padova nel 1981. Ne associai anche uno precedente, dello stesso autore, pubblicato nel 1969. Titolo della raccolta “ LA MIA STRADA ”. L’autore si chiama Raniero Celani, e di lui mai riuscìi a raccogliere dati anagrafici, se non ad individuare altre sue opere esistenti in biblioteche pubbliche.
Apprezzai quella raccolta per una sezione , dal titolo “ NOI, I SUPERSTITI ”, che non cito nelle brevi composizioni singole, di alto significato, ma che racchiude l’anima e lo spirito di un giovane – come moltissimi altri, assai responsabili - che partecipò alla seconda guerra mondiale con consapevolezza e fede nella sua scelta.
Ma una composizione mi rimase nella memoria, perché riuscì a tramandare il vero stato d’animo della maggioranza degli italiani che vissero il famoso e “deprecato” ventennio fascista. La tramando subito, per testimonianza ed atto doveroso.
Pagina di diario.
1
" Una sera di maggio
del millenovecentotrentasei.
Il ragazzo che vive dentro il tempo
ne ritrova immutata la memoria.
All'imbrunire corre la notizia.
Vola di casa in casa, con la voce
della radio, bussa di porta in porta.
« Addis Abeba e' presa! »
« La campagna d'Etiopia e' terminata! »
La gente si riversa nelle strade,
Un torrente che preme verso i Fori,
raggiunge la sua foce naturale,
la piazza dei colloqui,
il luogo certo dell’appuntamento.
Ogni finestra trova una bandiera.
2
All'imbrunire sciama il termitaio,
Volano le canzoni,
intersecandosi, sovrapponendosi.
La gente canta. Un canto a piena gola;
è stonato, ma nessuno ci bada.
Il Vittoriano e' un brodo di bengala.
Si parla ad alta voce.
« Sarà' la nostra terra di lavoro! »
« Sarà' la terra per i nostri figli! »
La folla chiama l'Uomo.
Ne grida a tempo il nome, lungamente.
L'Uomo appare. La folla lo saluta,
ondeggiando a valanga. Poi silenzio.
Silenzio di centomila silenzi.
Ciascuno e' solo, in mezzo a centomila.
3
L'uomo parla al suo popolo.
Parla di pace giusta, di lavoro,
di terre fertili da coltivare,
di un domani migliore
per le generazioni che verranno.
La sua parola scende sulla folla
come un nuovo battesimo,
tra fragori improvvisi, e incontenuti
silenzi, fino all'ardente suggello.
La notte trova un italiano nuovo,
rivestito di nuova dignita',
affrancato da doglie secolari,
a nessuno secondo.
A nessuno secondo.
Una sera di maggio
del millenovecentotrentasei.
Quelli che sono nati troppo tardi
non possono capire. "
Ripeto, dal testo, assumendo tutta la poetica narrazione di un momento storico di alta portata, la espressione di chiusa : “ Quelli che sono nati troppo tardi / non possono capire” ! Ma il cardine di tutta la manifestazione corale è nella espressione “ …un italiano nuovo..- a nessuno secondo.” Ribadita “A nessuno secondo”, che certamente non piace a tutti coloro che, drogati da ideologìe dottrinarie anti italiane, ciò non tollerano e destestano, chiusi nella loro inguaribile miseria morale.
[Quanto sopra è ESTRATTO dalla pagina 240 del libro "DOMENICO PELLEGRINI GIAMPIETRO-Prolegomeni" da me in preparazione da 4 anni. Ho doverosamente inserito anche questa NOTEVOLE Poesia di Raniero Celani. A.P.]

mercoledì 4 novembre 2015

RCULT

Riporto integralmente l'intervista rilasciata da Mary de Rachewiltz ad Antonio Gnoli, apparsa oggi su "La Repubblica". Per inquadrare meglio il personaggio vorrei chiamare in causa direttamente il Prof. Antonio Pantano, profondo conoscitore dell'opera di Ezra L. Pound, nonchè degli eventi storici che hanno caratterizzato il ventesimo secolo.Il richiamo mi sembra d'obblgo, vista l'importanza della scrittrice americana, al fine di inquadrare meglio il personaggio e "correggere" eventuali interpretazioni errate e tendeziose, riportate qui di seguito nell'intervista. (Pierluigi Caravella)
--------------------------------------------------------------------------
RCULT
Mary de Rachewiltz
“Ironico, ribelle, ballerino di tip tap così ricordo mio padre Ezra Pound”
ANTONIO GNOLI
Varia fu la vita di Ezra Pound. Sommò intelligenza sublime e operosa, ostentate polemiche (da parte soprattutto di coloro che ne videro un dilettante, anche se di talento) e punizioni terribili. Su quest’uomo — nato a Hailey nell’Idaho — che amò come pochi l’Italia tanto da considerarla una specie di patria culturale, scese una strana notte. Una di quelle notti che non creano legami, ma spavento, che tengono distanti gli uomini dalla vita. Non è facile immaginare cosa provasse in quei momenti e a quale grado di sopportazione fosse giunta la sua resistenza. Ma è con questa immagine senza fiato che vado a trovare la figlia di Pound: Mary de Rachewiltz nel suo castello sopra Merano. È una donna che, nei tratti, rivela un’antica bellezza (ha compiuto in luglio novant’anni). Energica e dolce. Dotata di uno spirito franco e battagliero. Capace di arrabbiarsi, denunciando l’appropriazione indebita che “Casa Pound” ha fatto del nome del padre: «Una vergogna», commenta asciutta.
Ci sediamo nella stanza dove Pound passò alcuni degli ultimi anni della sua vita. Tra i mobili in legno che progettò, alcune copie dell’ Ulysses , dizionari e i libri che erano serviti, in parte, alla stesura dei Cantos , in parte per lavorare su Dante e Cavalcanti. Proprio su Dante sono usciti i suoi saggi: un libro misterioso che Vanni Scheiwiller non fece in tempo a pubblicare e che ora vede la luce, per Marsilio, grazie all’ottima cura di Corrado Bologna e Lorenzo Fabiani.
Vorrei chiederle intanto del suo cognome. Lei non porta quello di suo padre. Perché?
«Era già sposato, e non poté unirsi in matrimonio con mia madre: Olga Rudge. Mi chiamo Maria Rudge. De Rachewiltz è il cognome di mio marito Boris: un personaggio a suo modo singolare. Fu egittologo, incline al mistero. Il padre acquistò questo castello dove, a un certo punto, ci trasferimmo».
Suo padre con chi era sposato?
«Con Dorothy Shakespear da cui ebbe un figlio, Omar. Ma il vero amore fu con mia madre. Un’irlandese testarda, eccellente violinista, innamorata di quest’uomo speciale. Si scambiarono lettere per quasi tutta la vita».
C’è un verso famoso dei Cantos: “Conta solo l’amore, il resto è spazzatura”. Davvero contò solo l’amore?
«L’amore era per lui qualcosa di universale. Non solo l’amore per una donna, ma anche per un poeta, per uno scrittore, per un paese o una città. L’amore era la capacità di vivere con intensità quanto gli accadeva».
E crede che suo padre l’abbia amata a sufficienza?
«Penso di sì. Fu straordinario, anche se intermittente, il nostro rapporto».
Però la sua infanzia non fu facile tra queste due presenze — sua madre e lui — così forti e autonome.
«Non fu facile ma fu felice. Vissi selvaggiamente i miei primi anni in una casa di contadini a Gais in Val Pusteria. A quel tempo la mamma — grazie alle sue competenze musicali — lavorava soprattutto a Siena con il Conte Chigi. Mentre il babbo viveva un po’ a Rapallo e un po’ a Venezia».
Perché suo padre scelse l’Italia come luogo dove vivere?
«Perché amava il bello e il bello era l’Italia, che ritrovava nei mosaici di Ravenna, nella pittura del Quattrocento o nella poesia del Trecento. Amava Venezia. Vi giunse la prima volta da bambino nel 1890».
È giusto ricordare l’attrazione estetica che suo padre ebbe per il nostro paese. Ma ci fu anche l’attrazione politica per il fascismo. Come giudica questo secondo aspetto?
«Mio padre non subì nessuna infatuazione dal regime fascista. Apprezzò viceversa la figura di Mussolini. Tanto che nel 1933 andò a Roma per donare una copia dei Cantos al Duce».
Cosa trovava nel grande dittatore?
«Pur tra gli equivoci che con il tempo si produssero, credo che vedesse in lui quello che Machiavelli vide nel
Principe , cioè la figura in grado di affrontare e risolvere i gravi problemi del paese. Tra l’altro era convinto che Mussolini non volesse la guerra. Ne parlò con George Santayana. Anche lui certo che Mussolini non avrebbe mai dichiarato guerra alla Francia e all’Inghilterra ».
E invece ci finì dentro. Lei come visse gli anni della guerra?
«Ricordo l’ultima vacanza a Venezia. Era l’ottobre del 1940. Con il babbo andammo al Lido. Ogni cosa sembrava spenta. Diversa rispetto agli sfavillanti anni precedenti. Vissi l’entrata in guerra con questa percezione di dissoluzione».
Come reagì?
«Ero disorientata. La mia educazione si era svolta fuori dagli obblighi scolastici che vivevo come un incubo. Amavo leggere quello che il babbo mi consigliava. Un libro che mi affascinò furono Fiabe del Kordofan di Leo Frobenius».
Si conoscevano Frobenius e suo padre?
«Piuttosto bene. Ricordo che nell’edizione tedesca era apposta una dedica di Frobenius. Poi i due si scambiarono lettere. Entrambi mostravano un grande interesse per le civiltà scomparse. Alle tracce che erano sopravvissute: “ Risvegliare i morti” sentivo a volte ripetere. Ossia la capacità di tenere assieme il mito e la storia. Ma sto divagando. Ricordo, sempre a proposito di libri, che quando lessi le memorie di Florence Nightingale decisi che avrei fatto l’infermiera».
Ci riuscì?
«Nell’aprile del 1944 fui presa come segretaria nell’ospedale tedesco di Pocol. Non era esattamente come fare l’infermiera ma entrai in contatto con quel mondo della convalescenza dove il confine tra speranza e disperazione non era del tutto definito».
Che gente si curava?
«Soldati tedeschi vittime anche loro della guerra. Soprattutto cinquantenni: infermi, feriti, malandati, spesso senza denti, ingrigiti nei capelli. Non era un bel vedere. Ricordo, poi, la stanza numero 20».
Cosa aveva di particolare?
«Era detta la stanza dei morituri. Ci portavano i casi disperati. Vidi uno di quei casi. Un aviatore, giovane. Malridotto. Mi scambiò per un dottore. Voleva che fossi io a curarlo. Gli dissi che ero solo una segretaria. Mi mostrò le sue foto. E la medaglia d’argento. Mi raccontò della sorella che studiava medicina a Norimberga. Alla fine riuscii a parlare con l’infermiera che lo aveva in cura e credo che grazie alla sua assistenza quel soldato sia stato uno dei pochi a uscire vivo dalla stanza numero 20 ».
La guerra era persa. I tedeschi in rotta. Mussolini decaduto. E poi il tentativo di fare un nuovo governo, una nuova patria: la Repubblica sociale. Suo padre aderì, perché?
«Forse per un assurdo senso dell’onore e della coerenza. Non era, del resto, capitato qualcosa di analogo a Giovanni Gentile?».
Gentile fu ucciso. Suo padre catturato alla fine della guerra. Lei era abbastanza grande per avvertire tutta la forza della tragedia che si stava consumando.
Quando ne ebbe la certezza?
«Dovrei fare un passo indietro. Quando ci fu l’attacco a Pearl Harbur, da parte dei giapponesi, mio padre restò sconvolto. Poi, l’America dichiarò guerra. A quel punto come tanti americani cercammo il rientro in patria con l’aereo. Ci fu negato. Ci proposero il piroscafo.

introno a Ezra Pound

Diana Celio Gentile signora Celio, premetto che non sono un esperto di Ezra Pound,ma ho letto diverse cose su di lui e anche alcuni suoi libri. Premetto altresi che l'intervista di "Repubblica" fatta dal dott.Gnoli,anche a me è parsa molto sobria. Pero',vedo che su Pound ( non da adesso) solo pochi,secondo me,hanno capito l'essenza culturale,umana,spirituale e politica del personaggio. In poche parole, Pound è stato uno degli anticipatori di un sistema economico e sociale assolutamente rivoluzionario,rispetto all'odierno;che è tutta un'altra cosa. E i risultati si vedano...Pound,scegliendo di vivere in Italia sposo' la politica sociale-economica dettata dal Governo fascista presieduto da Mussolini. La condivideva,in quantochè, vedeva in tale politica cio' che lui si auspicava. Su questo non ci possono essere dubbi. Volle sempre essere se stesso,avere la sua indipendenza e non aderi affatto al partito fascista ( nel senso che non prese tessera o altro). Tra il 1940 e il 1943 fece,liberamente,senza nessuna costrizione i suoi radio discorsi nella sede dell'EIAR di Roma ( quasi 150 se ben ricordo ora che scrivo) che non erono diretti contro il suo paese in senso lato (gli USA) ma una messa in guardia sui veri motivi per cui gli USA scesero in campo contro le Potenze dell'Asse.( che erono di tutt'altra natura in confronto alle solite storielle che ancora ci continuano a raccontare). Pound,aveva da tempo capito chi tiene veramente in mano il bandolo del potere di questo sistema. Era un uomo di principio e sapeva cosa diceva in tal senso. Ne fa prova cio' che trovo' in un archivio di stato USA ( su indicazione precisa di Pound),inerente la Federal Reserve, tale Eaustace Moullins ( che fu un referente di Pound molto importante negli USA...) . Direi,dato i fatti,che va benissimo parlare di Pound come Poeta e studioso profondo di grande cultura,ma anche ( e soprattutto direi) sotto l'aspetto economico,storico -politico-sociale. Pound,in tempi non sospetti,aveva capito tutto.....

Ubaldo Croce